di Massimiliano Renaud
Il paesino di Bruttavista aveva il destino segnato dal nome. Era un posto talmente brutto, che i turisti non si fermavano nemmeno a far benzina e per motivare ulteriormente i passanti ad ignorarlo, il malvagio Dio delle città aveva voluto che il paesino che ci seguiva sulla statale si chiamasse Bellagnocca.
Gran parte della vita del paese si svolgeva nella piazza centrale che, naturalmente, non era intitolata a un grande italiano come i vari Garibaldi, Cavour o Della Repubblica, ma aveva mantenuto il nome datogli dagli abitanti di Bruttavista più di cento anni prima per onorare l’ospedale psichiatrico che occupava due dei suoi quattro lati: Piazza dei Matti.
Nonostante il nome strambo, però, aveva tutti i requisiti della vera piazza di paese: c’era il Municipio, la chiesa, il bartabacchigiornalicasalinghiarticolidaregalo, la macelleria, un piccolo alimentari, l’ufficio postale, la gelateria, uno sportello bancomat senza filiale e il mitico “Internet point”. Ricordo che dopo la sua apertura, dieci anni fa, ai miei compaesani ci vollero mesi per cercare di capire cosa vendesse quel negozio, poi, alla fine, rinunciarono.
La mia stanza da letto si affacciava proprio sulla piazza e alle sette di quel sabato mattina, dopo aver aperto la finestra per ossigenare l’ambiente, capii subito che lì sotto era successo qualcosa.
Un capannello di persone pascolava davanti alla gelateria e nel gruppo riuscii a distinguere Ossobuco, il macellaio con una passato da eroinomane che agitava convulsamente le braccia indicando qualcosa sul terreno, Raccomandata, la postina assunta grazie a un cugino che lavorava al ministero e Perrimason, il brigadiere del Corpo dei Carabinieri che cercava di tenere lontana la folla dei curiosi, mentre il collega appuntato faceva ciò che il suo grado presumo gli imponesse: prendeva appunti.
Mi ricoprii di qualche vestito a casaccio e corsi a cercare di far luce sull’accaduto.
Riverso sulla rastrelliera per le biciclette si trovava il corpo di un uomo di circa venticinque anni, con la testa immersa in una pozzanghera di gelato nocciola e pistacchio e un sellino ancora stretto fra gli inguini.
Tutti i presenti, avevano già ben chiara in mente la loro infallibile teoria per spiegare l’accaduto: si spaziava dall’attacco del famoso serial killer dei ciclisti, personaggio totalmente inventato sul momento per dare un po’ di colore alla vicenda, alla crisi iperglicemica dovuta a un’overdose di gelato.
Un anziano, esperto di leggende metropolitane e non, raccontò che un giorno, tanti anni prima, in una piccola piazza di un piccolo paese del Kargighimiristan o qualcosa del genere, piovvero due ciclisti dal cielo e, in maniera totalmente inaspettata, morirono sul colpo. Naturalmente, il racconto non diede alcuna spiegazione ai fatti di quella mattina ma il solo fatto di fingere di sapere che un evento del genere fosse già accaduto, ci tranquillizzò.
Qualche secondo dopo, arrivarono ambulanza e auto-medica a portarsi via lo sconosciuto ospite.
Il Primo Cittadino, meglio noto come Lupin, si issò su una sedia del bar della piazza, il Bar dei Matti, e arringò così alla folla: “Signore e Signori concittadini, come avete visto tutti, questa notte un infausto evento si è abbattuto sulla nostra piccola città e in qualità di sindaco, voglio chiamare l’intera comunità di Bruttavista a collaborare attivamente al fine di giungere quanto prima alla soluzione di questo enigma.”
Con questo breve discorso, Lupin scatenò una reazione ben oltre le soglie dell’isteria da parte della popolazione che, in meno di un secondo, si sentì investita del ruolo di agente speciale con licenza di rompere i coglioni a tutti.
In preda a un’inspiegabile follia rievocativa, Nozzedicana, il figlio dell’oste, affittò un completo bianco al negozio di abiti da matrimonio per dare un tributo al suo indiscusso idolo: Don Johnson. Come spesso succede in questi casi nei piccoli paesi in cui spesso domina la noia, tutti gli abitanti si fecero prendere dall’entusiasmo e decisero di seguire l’esempio del giovane alcolista nel voler assomigliare a uno dei mitici eroi-detective della TV.
Così, in poco più di un quarto d’ora, l’unico negozio di abbigliamento di Bruttavista vendette ventiquattro impermeabili color crema andata a male agli estimatori del tenente Colombo, il barbiere fece dodici rasature a zero a tutti i fans di Kojak e quindici tinte bionde a estimatrici, e purtroppo anche a estimatori, della signora Fletcher.
Ma la reazione più estrema fu quella di Effettoserra, il fiorista con problemi di meteorismo, che noleggiò per un’intera settimana la stessa Ferrari con cui Magnum P.I. scorrazzava per le strade delle Hawaii.
A mezzogiorno, Piazza dei Matti sembrava un set di un telefilm poliziesco anni 80, tutti erano impegnati nella ricerca di tracce ed indizi o in asfissianti interrogatori ad amici e conoscenti. E qui non si stava parlando di C.S.I., chiunque è capace di trovare macchie di sperma su un letto con il luminol, i poliziotti di una volta, invece, dovevano tastare con le dita per cercare il punto in cui la coperta era croccante ed era proprio così, che avrebbero agito i bruttavistiani: interrogando, tastando, palpando…
Naturalmente, anch’io avevo una pista da seguire: la signora Elvira, detta Matahari.
Si, perché tutti i paesi hanno la loro grande sorella che spia il mondo dalla finestra del soggiorno ma la signora Elvira, particolarmente dedita alla causa del non farsi mai i fatti suoi, si era addirittura procurata una telecamera a infrarossi e un visore a rilevazione di calore.
Suonai il campanello e alzai gli occhi verso il suo appartamento, la tenda si chiuse e la serratura del portone scattò, Matahari non chiedeva mai chi fosse a suonare, lei lo sapeva già.
Purtroppo, la signora Elvira disse di non aver notato nulla di sospetto a parte quell’uomo sdraiato a terra verso le sei e quarantacinque di mattina e, aggiunse palesando un certo orgoglio, di essere stata proprio lei a chiamare l’ambulanza.
“Non ne dubito signora, mi creda.” Risposi io. “Grazie dell’informazione, ora la lascio tornare alla sue faccende, buona giornata a lei e a suo marito”.
“Buona giornata anche a te Luca, arrivederci!”
Uscii deluso dal palazzo, Matahari era una fonte fondamentale per la mia indagine e, non a caso, adesso c’erano almeno quattro Colombo e tre Kojak che facevano la fila davanti al suo portone.
Ma, forse, avevo ancora un asso nella manica.
Presi la bicicletta e pedalai in fretta verso casa di Morfeo, il metronotte, suonai il campanello della sua villetta a schiera per dieci minuti buoni finché dall’uscio di casa non fece capolino la faccia stropicciata del vigilante.
“Cosa vuoi Stachanov?“ era il mio soprannome, ero disoccupato da dieci anni.
“Nulla di grave Alberto, volevo sapere se per caso, questa mattina poco prima dell’alba, hai visto aggirarsi nei pressi della piazza un tizio in bicicletta con i capelli lunghi neri e un gelato in mano”.
“Purtroppo no Staca, stanotte ero impegnato in una missione speciale e non sono passato dal centro”. Traduzione: aveva dormito tutta la notte in macchina nel quartiere artigianale dietro casa sua.
“Ok, allora buon riposo e scusa per il disturbo!”
Saltata anche la mia seconda possibile fonte, la mia indagine era al classico punto morto. Mi incamminai verso Piazza dei Matti con il morale a terra perché il mio giorno da aspirante Sherlock Holmes sembrava essere già finito.
Quando fui all’altezza della fontana arrivò di corsa il figlio del primario di rianimazione, il piccolo Matusalemme, un ragazzino di nove anni che passava i suoi pomeriggi a guardare fotografie di cantieri che ogni giorno venivano proiettate sui muri della casa di riposo per gli anziani non più autosufficienti.
“Lo straniero si è svegliato!” Urlava tra una scatarrata e l’altra. “Mi ha detto mio padre di dirlo a tutti! E poi mi ha detto anche in culo alla privacy, ma non so cosa voglia dire!”
Così, senza neppure bisogno di scambiarsi una parola, partimmo di corsa verso l’ospedale e in meno di cinque minuti arrivammo come uno tsunami nella sala d’attesa del pronto soccorso.
Appena dopo l’irruzione, trovammo un ragazzo alto e allampanato con una coda di cavallo nera seduto su una sedia a rotelle.
“E lui! Presto andiamo!” Gridò come un assatanato Taccheggio, il calzolaio cleptomane.
Il giovane uomo cercò di scattare impennando ma venne abbrancato in tuffo da “Felixilgatto”, il portiere della squadra dilettantistica di Bruttavista, che fece così la sua prima parata in carriera.
L’ospite, dopo essere stato abbattuto, venne rialzato e indotto quasi con la forza a raccontare tutta la verità sulla notte precedente.
Ne uscì che il giovanotto era un giramondo in bicicletta ed era entrato in paese poco prima dell’alba, si era fermato alla gelateria “Banana Republic”, la proprietaria era una ex porno star che non riusciva a tagliare del tutto i ponti col passato, e aveva ordinato un cono nocciola e pistacchio per rinfrescarsi un po’.
Uscito dalla gelateria ed essersi ripreso dall’ipnotico e generoso décolleté della gelataia, si accorse che lo zaino da avventuriero gli era stato sottratto dal portapacchi della bicicletta. Vedendo da lontano un’ombra che si allontanava, saltò in sella e provò a inseguirla ma l’astuto ladruncolo si era premurato di collegare, tramite una cordicella, la ruota anteriore alla forcella.
Così, quando il malcapitato ciclista provò a partire, cadde rovinosamente sulla rastrelliera sbattendo la testa e perdendo i sensi in una pozzanghera verde e marrone.
Così, in pochi secondi, l’arcano fu svelato e la pandemia investigativa si dissolse. All’improvviso non c’era più nulla da scoprire o su cui fantasticare e nei giorni successivi molti di noi si trovarono a dover fare i conti con bizzarre acconciature, ridicoli cappotti e una Ferrari di trentacinque anni che faceva i due con un litro.
Qualche settimana dopo, tutto era tornato alla normalità qui a Bruttavista e Piazza dei Matti ritornò a essere il tranquillo e anonimo scenario della nostra quotidianità.
Almeno fino a stamattina quando, aprendo le finestre della mia camera alle sette in punto, ho visto Mistermiliardo, il barbone del paese, passare in mezzo alla Piazza su una volante della polizia.
Ma questa, è una scena a cui tutti noi siamo ormai abituati, la vera stranezza è che oggi, guidava lui.