di Mattia Bragadini
Giulio salì a due a due i gradini della stazione della metropolitana, seguì paziente il flusso disordinato della gente che si accalcava verso l’uscita, riuscendo a indovinare il chiarore del sole che per sua fortuna ancora illuminava la città. E poi di colpo, saliti altri due scalini e fattosi spazio tra gli ombrellini parasole di una comitiva di giapponesi, gli apparve davanti agli occhi il Colosseo. Non l’aveva mai visto nella luce rosa del crepuscolo, quanno l’arancia rosseggia ancora sui sette colli e riesce a regalare ai monumenti di Roma quel colore che solo loro hanno il diritto di catturare ed esibire.
Si fermò qualche istante ad ammirare la maestà dell’Anfiteatro Flavio, cercando di ignorare i gruppetti di turisti in posa per i selfie di rito e lo stillicidio di flash dei fotografi semiprofessionisti, poi si diresse deciso su Via dei Fori Imperiali in direzione Piazza Venezia, circondato dalle vestigia della più grande civiltà dell’umanità, e respirando storia ad ogni sanpietrino calpestato fu sopraffatto dalla sensazione quasi tangibile della grandezza dell’uomo, dall’ammirazione per il suo ingegno e per le sue capacità. Non importa quante nefandezze sia capace di compiere nell’apoteosi della propria malvagità, ma quando dà il meglio di sé l’essere umano è capace di imprese e opere meravigliose.
Seguì uno scorcio di sole che colorava di rosa il cielo tra le vittorie alate che si stagliavano sicure sopra i propilei del Vittoriano e presto si ritrovò davanti al monumento equestre di Vittorio Emanuele II che dominava fiero la scalinata sottostante brulicante di turisti e di vita. Girò tutto intorno all’Altare della Patria costeggiando il lato sud di Piazza Venezia e raggiunse, dalla parte opposta della piazza, un’altra scalinata, quella che lo portava al Campidoglio. Salì i gradini con calma e dopo essersi fermato solo qualche secondo ad osservare il contrasto tra la penombra dei tetti e il sole rossastro che già iniziava a scomparire dietro la linea dell’orizzonte, proseguì salendo ulteriormente alla Terrazza Caffarelli.
Il locale spumeggiava di vita, di coppie apparentemente felici alle prese con il rito dello spritz, di allegre compagnie che condividevano bottiglie di Prosecco e Franciacorta, ma prima di unirsi al cerimoniale dell’aperitivo, Giulio si affacciò al parapetto della terrazza e diresse lo sguardo sui tetti e sulla basilica di San Pietro, abbracciando con lo sguardo quell’incredibile opera d’arte che solo il connubio tra uomo e natura sa dipingere, come può essere un tramonto sulle cupole di Roma.
Ma la storia dell’uomo, la grandezza e l’ingegno degli antichi romani, lo spettacolo inimitabile della natura adesso avevano poco senso per Giulio. È buffo, pensò, che qualunque cosa occupi la tua mente, che sia la crisi economica globale o i terribili problemi ambientali, le carestie e i disastri, la fame nel mondo e i bambini morti in guerra, l’unica cosa che ti fa stare davvero male è quando vuoi disperatamente qualcuno, e quando questo qualcuno ti manca tanto da toglierti il respiro.
E adesso lei non c’era.
“I was just guessing at numbers and figures
Pulling the puzzles apart
Questions of science, science and progress
Do not speak as loud as my heart”