9 marzo 1950

di Mattia Bragadini

Spense la sigaretta sul marciapiede e lanciò un ultimo sguardo al cielo che illuminava Parigi di una luce calda e avvolgente, entrò nel locale, si sedette al primo tavolo libero, posò la Rolleiflex sul divanetto accanto a lui e ordinò un caffè.
Tre ore in giro per la città e ancora non aveva trovato i soggetti giusti, la scadenza per la consegna del suo lavoro si avvicinava e non aveva ancora combinato niente. Poi un cameriere che stava raccogliendo un ordine si spostò di colpo, aprendogli la visione su una coppia di giovani innamorati: si tenevano per mano e si scambiavano tenere effusioni. Li osservò per qualche istante e prima di essere scambiato per un maniaco, o quanto meno per un maleducato, si avvicinò. «Perdonate il disturbo, non vorrei importunare.»
Dopo un breve silenzio il ragazzo indicò una sedia libera.
«Prego, si sieda.»
Si accomodò e si schiarì la voce.
«Ecco, io sono un fotografo e mi è stato commissionato un servizio.» Fece una pausa ma i due ragazzi rimasero in silenzio.
«E voi potresti essermi utili.»
«E in che cosa potremmo esserle utili?» chiese la ragazza.
«Ecco, vedi… posso darvi del tu, vero?»
«Certo.»
«Devo fotografare una coppia di innamorati, proprio come voi.»
I due sorrisero.
«E volevo chiedervi se vi va di fare una passeggiata per la città insieme a me, semplicemente io vi seguirò e scatterò qualche fotografia mentre vi baciate.»
I ragazzi scoppiarono a ridere.
«Lo so, lo so, sembra una cosa assurda, ma una rivista americana mi ha chiesto questo servizio. Ed è una cosa talmente seria che ci sarebbero 500 franchi per ciascuno di voi se accetterete di aiutarmi.»
Si guardarono, certo si trattava di una discreta somma sembravano comunicarsi silenziosamente.
«Ma si tratta di un bacio, nulla più?»
«Assolutamente. Nulla più di questo e in ogni caso saremo sempre in mezzo alla gente, voglio cogliere la vostra intimità e la vibrazione della città.»
«Il tutto per 500 franchi a testa?»
«È così. Purtroppo, però, le ore di luce rimaste sono ormai poche. Vi devo chiedere di darmi una risposta subito per non perdere questo magnifico pomeriggio di sole.»
I ragazzi si scambiarono un breve cenno di assenso.
«Perché no? In fondo cosa cambia baciarci qua dentro o in giro per Parigi» concluse lui.
«Benissimo! Allora se mi permettete di essere miei ospiti, mi occupo immediatamente di regolare il vostro conto.»
I due annuirono.
«Se volete seguirmi.»
Uscirono dal locale e cominciarono una lunga passeggiata attraverso i luoghi più caratteristici della città: si fermarono davanti al Palazzo dell’Eliseo, sotto gli occhi immobili di un poliziotto di guardia, attraversarono Rue de Rivoli con il Louvre sullo sfondo, e il Pont Neuf cercando lo scorcio migliore sulla Senna. Salirono sul predellino di un tram in corsa, per poi discenderne a baciarsi in mezzo alla strada tra i clacson delle automobili bloccate. Ma no, non era quello che stava cercando.

Poi all’improvviso, proprio davanti all’Hôtel de Ville, la luce giusta, le distanze perfette. Come sincronizzato con l’otturatore della Rolleiflex, il ragazzo allunga il braccio destro attirando la ragazza a sé, mentre lei si abbandona languida alle sue labbra. Sembrano immobili, come se dovessero fissare questo attimo per l’eternità, mentre tutto intorno a loro scorre invece veloce: nulla è a fuoco, non l’imponente struttura del palazzo comunale sullo sfondo, non le automobili che li sfiorano dirette chissà dove, non i passanti distratti che camminano veloci senza nemmeno notare la loro presenza, non l’uomo di cui si intravede la nuca e di cui non sapremo mai con quale espressione sta osservando la scena, e nemmeno la donna che sembra mandare un’occhiata di riprovazione all’obiettivo.
La mano di lei è abbandonata lungo al suo fianco, remissiva, arrendevole, travolta da quella passione; quella di lui sembra quasi indecisa tra il desiderio di stringere la sua ragazza in un abbraccio ancora più intimo e la necessità di lasciare spazio all’inquadratura del fotografo. La luce, quasi violenta in quel bianco e nero così contrastato, va a occupare lo spazio tra le due teste in maniera geometricamente perfetta.

E proprio lì, in quel momento, prima ancora di entrare in camera oscura a verificare il risultato del suo lavoro, seppe di aver ottenuto lo scatto che voleva: mostrare un mondo dove si sarebbe sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrebbe trovato la tenerezza che sperava di ricevere.
Ripose la macchina fotografica e decise che il lavoro era terminato, richiamò l’attenzione dei ragazzi e li fece avvicinare.
«Siete stati perfetti, penso proprio di avere trovato l’inquadratura che stavo cercando.»
«Abbiamo finito, quindi?» chiese la ragazza.
«Direi di sì. Ah, questo è il vostro compenso.»
Allungò a ciascuno dei ragazzi una busta con dentro i 500 franchi pattuiti.
«E perdonate i miei modi, non ho nemmeno chiesto i vostri nomi.»
«Io sono Jacques Carteaud, molto lieto.»
«Françoise Bonnet. È stato un vero piacere lavorare con lei, signor…?»
«Doisneau. Robert Doisneau.»

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