Parmigianino – Gli ultimi anni di un giovane genio – Capitolo IV

Le accuse di alchimia e il nuovo protettore

di Massimiliano Renaud

In una mattina di inizio estate Francesco venne svegliato di soprassalto da uno dei suoi garzoni.
“Maestro! Maestro! Alzatevi presto!”
“Cosa succede, Antonio?”
“Arrivo di corsa dal cantiere! Ho appena visto l’agente della Confraternita Gian Giacomo Antini scaricare fogli d’oro da un carro scortato da due guardie!”
Francesco si alzò dal letto, si gettò addosso qualche vestito raccolto da terra e corse in strada in direzione del cantiere.
Non volendo sprecare nemmeno un minuto, accese i fornelli e iniziò lui stesso a fondere il metallo perché i doratori, nonostante le promesse dei fabbricieri, non si erano ancora fatti vedere.
Accaldato dal fuoco e dall’afa estiva non si accorse che un uomo a cavallo gli si era avvicinato e lo fissava dall’alto con uno sguardo inquisitorio.
“Francesco, come mai ti trovo chino sui fornelli a fondere oro? Mi risulta che questo genere di occupazioni non spetti al maestro ma ai suoi aiutanti.”
“Sarei ben lieto di delegare la fusione ai doratori, non foss’altro che dopo tanti mesi non ho avuto ancora il piacere di incontrarne uno. I miei ragazzi sono troppo inesperti per non incorrere in errori, dunque preferisco occuparmene io stesso, signore.”
“Comprendo il tuo disappunto e riferirò ancora una volta ai fabbricieri di questa grave mancanza. Resta il fatto che, prima di venirti a parlare, sono entrato in chiesa e non ho potuto non constatare che i freschi sono tanto splendidi quanto limitati nella loro estensione.”
“Conoscete bene i motivi del mio ritardo, ho dovuto spendere tutti i miei averi per acquistare l’oro ma non ho i doratori per ricoprire i rosoni e, come ho già riferito alla Confraternita, subisco continui boicottaggi ai ponteggi che vengono spostati o addirittura smontati nella notte per impedirmi di dipingere.”
“Sono a conoscenza di tutti i tuoi problemi e per questo ti invito nuovamente a tornare alla tua vecchia casa, la tua famiglia potrebbe aiutarti a recuperare il tempo perduto e tutto si sistemerà.”
“Mi chiedete una cosa impossibile, signore, su questo sono irremovibile!”
“Cosa significa, impossibile?” rispose il Dalla Rosa, indispettito da un genere di rifiuto al quale non era abituato.
“Altri miei fratelli hanno lasciato la casa di Borgo delle Asse e a giudicare dal trattamento che sto ricevendo, forse avrei fatto meglio a seguire le loro tracce abbandonando Parma per sempre, e se non lo faccio ora è solo perché non voglio privarmi dell’onore di essere colui che darà lustro alla Steccata. Sono disposto a lavorare giorno e notte ma non ritornerò mai in quel covo di sciacalli.”
Il cavaliere, senza nemmeno rispondere, fece voltare il cavallo e uscì dal cantiere con lo sguardo profondamente adirato per le parole del suo protetto e, forse ancor di più, per ciò che era intento a fare mentre gli parlava. Vederlo alle prese con la fusione dell’oro non faceva che dar credito alle accuse che Girolamo Bedoli gli aveva riferito, e nella sua posizione non poteva certo permettersi di tenere sotto la sua ala protettrice un uomo accusato di praticare l’alchimia.

Quella sera, Francesco camminò strascicando i piedi fino a un’osteria piena di fumo e di salumi appesi al soffitto a stagionare.
“Oste! Una scodella di lambrusco, anzi due.”
“Ecco il vostro vino, messere, avete l’aria abbattuta, se non sbaglio.”
Non sbagliate, domani la mia carriera finirà”
“Io lo so chi siete, Maestro, e dubito che la vostra carriera sia in pericolo, tutti conoscono la vostra arte.”
“L’arte è ridotta ad essere soltanto il mezzo dei potenti per accrescere il loro blasone, ed io mi sono fatto nemico uno di loro. Una sola sua parola di denuncia nei miei confronti potrebbe impedirmi di lavorare per sempre. Datemi altro vino, per favore.”
“Vedrete che tutto si sistemerà, uomini come voi rendono più bello il mondo e nessuno avrà il coraggio di privarlo della vostra opera. Finite il vostro lambrusco e andate a riposare, il vostro volto reclama un giaciglio.”
Francesco si incamminò ciondolando a testa bassa reggendosi di tanto in tanto ai muri in pietra delle case, raggiunse a fatica il suo portone e infilò non senza faticare la chiave nella toppa. Si sdraiò esausto e fissò il soffitto che sembrava ruotargli intorno, trafitto dall’idea che l’indomani il cavaliere Dalla Rosa gli avrebbe tolto la protezione e che i guai che lo tormentavano da mesi non sarebbero potuti che aumentare.

Nonostante le preoccupazioni che lo attanagliavano dal sorgere al tramontar del sole, il Parmigianino riuscì nei mesi successivi a portare avanti, seppur molto lentamente, gli affreschi del sottarco.
In una mattina di afa schiacciante, l’artista era talmente concentrato sul lavoro che non si accorse di un uomo che lo fissava alla base dei ponteggi.
“Damiano! Non immagini nemmeno il piacere che provo a rivederti, sono successe molte cose ultimamente e avevo proprio bisogno di un amico, forse l’unico che mi resta, con cui confidarmi.”
“Anch’io sono felice di incontrarti, Francesco, ma temo di sapere tutto ciò che mi vuoi dire e forse anche di più.”
“Allora siediti e parliamo un po’ davanti a una caraffa di buon vino.”
L’architetto si sedette vicino a un tavolaccio e incrociò le dita davanti al volto con aria preoccupata.
“Avanti, non tenermi sulle spine” disse l’artista versando due bicchieri di lambrusco.
“Qualche giorno fa sono rientrato in città e mi sono giunte alcune voci a proposito del cavaliere Dalla Rosa.”
“Fortunato tu che hai sue notizie, non immagini da quanto tempo cerco di ottenere un’udienza che regolarmente mi viene negata. Da quando mi ha fatto visita in Steccata lo scorso anno non ho più avuto modo di parlargli.”
“Lo so bene, e credo di conoscere il motivo di questo suo comportamento.”
“Ti ascolto con grande curiosità.”
“Alcuni amici influenti mi hanno riferito che tuo zio, in combutta con il Bedoli, sta mettendo in giro voci oscure su di te.”
“So bene che mi vorrebbero contrastare in ogni modo ma cosa possono aver detto di talmente grave da allontanare da me il mio stesso protettore?”
“Pare che sia proprio a causa loro che il Dalla Rosa ti abbia abbandonato.”
“Non posso negare che me lo aspettassi, ma ancora non riesco a capirne il motivo.”
“Ormai è noto che i tuoi familiari stiano facendo di tutto per infangare il tuo nome e allontanarti dal cantiere della Steccata, ma ciò che vanno dicendo di te rischia di mettere in pericolo addirittura la tua stessa libertà.”
Il Parmigianino rimase in attesa senza controbattere.
“La voce che mettono in giro è che sospettano di tue pratiche di alchimia e a sostegno delle loro tesi, affermano che ti sia voluto occupare della fusione dell’oro per carpirne i segreti.”
“Ora capisco perché il Dalla Rosa mi osservava con quello sguardo sospettoso durante il nostro ultimo incontro, maledetti infami!”
“È molto probabile che quelle dicerie gli fossero già note al tempo ma, purtroppo, non è tutto. Pierilario e Girolamo sostengono anche che nei tuoi freschi vi siano contenuti profani e addirittura simboli degli illuminati, dunque non degni di decorare una chiesa dedicata alla Madonna.”
“Profani? Ma come possono raccontare tali menzogne? Cosa ci sarebbe di profano nella mia opera?”
“So bene che la tua arte è tutto fuorché profana, ma se la Confraternita si facesse convincere da quei due diffamatori per te sarebbe la fine. Verresti sicuramente estromesso dal cantiere e magari anche incarcerato. Alchimia ed eresia sono accuse gravissime per chiunque, figuriamoci per un artista che sta lavorando a un’opera di tale importanza.”
“E dunque? Cosa posso fare? Dovrei abbandonare il mio lavoro e scappare dalla città?”
“So che ti chiedo tanto e immagino ciò che mi risponderai, ma credo che l’unica soluzione sia riappacificarti con tuo zio, con tuo cognato e ritornare a vivere nella tua casa natale.”
“Sai bene che non lo farò mai, Damiano, preferirei la morte piuttosto che vederli soddisfatti per avermi sconfitto. Anche senza protettore continuerò i miei freschi e se sarà necessario pagherò con la mia libertà, o con la mia stessa vita.”
“Ti conosco bene, non mi aspettavo altra risposta da te. Se non vuoi tornare in Borgo delle Asse, ti prego almeno di voler accettare il mio aiuto nel fornirti nuova protezione.”
“Come puoi pensare di prenderti carico delle mie colpe, anche se del tutto infondate?”
“Non sarò io a farmene carico, domani sera presentati a casa del cavalier Baiardi poco prima dell’ora di cena, mi ha riferito di volerti parlare con urgenza e sono certo che vorrà offriti il suo appoggio.”
“Dunque, alla fine sarò costretto a cambiare fazione.”
“Te ne importa realmente qualcosa?”
“No di certo, sai che non mi intendo di politica, ma i Mazzola sono da sempre schierati con i ghibellini e farmi proteggere da uno dei guelfi più in vista di Parma non gioverà alla mia posizione nei confronti della mia famiglia.”
“Alla luce dei fatti, non credo che la tua posizione migliorerebbe nemmeno se restassi senza un protettore, e il cavalier Baiardi è uno stimato membro del consiglio della Confraternita. Almeno avrai qualcuno che prenderà le tue difese se dovessero sopraggiungere nuove accuse nei tuoi confronti.”
“Hai ragione, amico mio, riferisci pure al Baiardi che domani sera sarò molto lieto di essere suo ospite.”
Il De Pietà svuotò il bicchiere, salutò l’amico con una pacca sulla spalla e salì sul cavallo che lo aspettava legato a un palo di legno conficcato fuori dall’ingresso della chiesa.
Parmigianino restò immobile fino a quando l’eco degli zoccoli non si dissolse fra i vicoli di Parma, trangugiò il vino rimasto nella caraffa e si lasciò cadere sulla sedia a peso morto.

 

Alla luce del tramonto del giorno successivo, il maestro si presentò con il suo miglior vestito alla residenza della famiglia Baiardi e ad accoglierlo trovò il cavalier Francesco, sua sorella Elena e l’architetto De Pietà.
Dopo la calda accoglienza rivolta al maestro, il cavaliere, uomo pratico e diretto, volle subito parlare di alcune opere che aveva intenzione di commissionargli.
“Prego, maestro, accomodatevi qui davanti a me, ho una gran smania di sigillare la nostra amicizia con qualche lavoro che impreziosirà le case della mia famiglia e, al contempo, rimpinguerà le vostre tasche.”
“Se ne sarò all’altezza, sarò felice di accontentarvi, cavaliere.”
“Ho avuto modo di rimirare alcune vostre opere, maestro Mazzola, non siate modesto, la vostra arte è comparabile a quella del grande Raffaello, anzi, in alcuni vostri capolavori è forse addirittura superiore.”
“Voi mi lusingate, signore.”
“Ma non siamo qui solo per scambiarci complimenti, giusto? Ecco ciò che vi chiedo: mia nipote Ottavia Camilla sta per andare in sposa al conte Manfrino Beccaria e in occasione delle nozze, vorrei farle dono di un dipinto per il quale mi affido completamente al vostro estro e alla vostra fantasia, e di un ritratto degno di una contessa.”
“Non posso che essere onorato del fatto che abbiate pensato a me, ma posso chiedervi quando avranno luogo le nozze di vostra nipote?”
“Prima della fine dell’anno, dunque dovrete terminare entrambe le tele entro Natale.”
“Ottavia ha la precedenza su tutto, ma non dimenticatevi di me.”
Alle spalle dei due uomini, avvolta in un elegante abito di seta e velluto blu, comparve Elena Baiardi.
“Come potrei dimenticarmi della persona che mi è più cara al mondo.” Disse il cavaliere voltandosi indietro.
Il Parmigianino rimase in silenzio tentando di interpretare le parole della nobildonna.
“Mia sorella vorrebbe approfittare del vostro tocco sopraffino per commissionarvi un’altra opera, ma lascerò che sia lei a parlarvene.”
“Ti ringrazio, fratello mio. Maestro Mazzola, ciò che vi chiedo è di realizzare una pala d’altare per la chiesa di Santa Maria dei Servi, vorrei che ritraeste la vergine nella maniera in cui soltanto voi siete capace. Naturalmente inizierete a dipingere una volta terminati i doni per Ottavia, come ho detto a mio fratello, le sue nozze dovranno avere la precedenza su tutto.”
Francesco, che fino a quel momento non aveva voluto interrompere gli illustri interlocutori, trovò finalmente il coraggio di esporre le sue perplessità.
“Signori, vi ringrazio per esservi rivolti al sottoscritto per un’occasione tanto importante ma, nella mia situazione, non credo di potermi permettere di abbandonare il cantiere della Steccata. E dal momento che è solo grazie a voi che ho ancora la possibilità di lavorarvi, non vorrei rendere vano il vostro generosissimo aiuto.”
“Maestro, di questo non dovete preoccuparvi, penserò io a sedare gli animi dei fabbricieri. Voi pensate soltanto a rendere felici le mie amate signore e nessuno vi infastidirà.”
Davanti a simili rassicurazioni e avendo quanto mai bisogno di denaro, Parmigianino non poté che accettare l’offerta.

Con il denaro anticipato dal Baiardi, Francesco ripianò il debito con il suo vecchio padrone di casa, con i suoi garzoni e versò alcuni affitti anticipati per potersi trasferire in una nuova abitazione nell’Oltretorrente, sotto la parrocchia di Santa Cecilia. Anche se si sarebbe allontanato dal cantiere e dai quartieri più nobili della città, i prezzi più abbordabili di quella zona popolare gli avrebbero permesso di avere una casa più grande per sé e per i suoi aiutanti, e addirittura un piccolo giardino.
In pochissimo tempo, Francesco eseguì il dipinto che ritraeva Eros intento a fabbricare il suo arco e il ritratto della giovane Ottavia. Il suo committente fu talmente entusiasta dei doni per la nipote che volle tenere la tela di Eros per sé, con buona pace della ragazza che si accontentò dello splendido ritratto.
Terminati due delle tre tele commissionate dal Baiardi, Francesco si mise di nuovo all’opera sugli affreschi della Steccata e proseguì lo studio dei quattro monocromi che avrebbero rappresentato le figure principali dell’affresco. Questa volta, però, non furono i boicottaggi dei suoi nemici a bloccare il suo operato ma una fortissima febbre che lo costrinse a letto per molte settimane.

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