di Stefania Piccinini
Il commissario Manfredi guidava e fumava. Accese la radio e si pentì subito: i Subsonica gli ricordavano il brutto periodo del suo divorzio. Era in servizio e doveva raggiungere subito la pedemontana in direzione nord e, al Km.75, svoltare in una laterale che andava verso l’interno; avevano trovato un ragazzino morto sul ciglio della strada. Era in momenti come questi che si chiedeva cosa ci fosse poi di così prestigioso nel suo mestiere. Almeno aveva smesso di piovere, dopo ore.
«Dove stavi andando ragazzo?» diceva tra sé Manfredi scostando il lenzuolo che copriva il cadavere, con i vestiti inzuppati di pioggia e lo zaino ancorato alle spalle. Indugiò sui capelli castani che gli coprivano il volto, decisamente lunghi. «Buongiorno dottore. Luca Tosi 13 anni. Investito alle spalle…dalla posizione del cadavere si direbbe fosse diretto al paese che si trova a 15 minuti.» disse l’agente che aveva accolto Manfredi sul posto «Non si spiega cosa ci facesse qui…stamattina era a scuola, distante tre chilometri; ma la casa dei suoi genitori si trova nella direzione opposta».
«Va bene. Io ho finito. Andrò a parlare prima con la madre e poi con i compagni e gli insegnanti. Voi aspettate il Pubblico Ministero. Al solito, portatemi l’esito dell’autopsia appena pronto.» Manfredi si congedò.
La madre di Luca, allarmata non vedendolo tornare a casa per pranzo, aveva chiamato la Polizia. Il tempo di iniziare le ricerche e il ragazzo era stato trovato cadavere. Manfredi decise di procrastinare il penoso incontro con i poveri genitori.
La professoressa d’Italiano, tutor della classe IIA, gli aveva riferito che il ragazzo non era particolarmente sagace; sovrappeso e timido era il bersaglio preferito dei bulli della scuola. Nell’ultima verifica aveva meritato un bel quattro, e gli fece vedere il grosso numero scritto con un lampostyl rosso sul foglio che aveva preparato.
Il suo compagno di banco era molto teso quando Manfredi gli fece le domande. Si limitò a seguire pedissequamente lo schema di risposte che forse si era preparato nella testa in attesa dell’incontro con il poliziotto. Luca era un ragazzino normalissimo, non aveva ancora una fidanzatina, amava i videogiochi e la Formula 1.
A casa del ragazzo Manfredi si fece aprire la sua camera da letto: da quel giorno la madre avrebbe pulito alacremente quel luogo, come fosse un santuario. Vi trovò le solite cose da adolescente, una scrivania in disordine con un portatile nel posto d’onore, due poster alla parete; vi si soffermò una buona mezz’ora e la sua mente registrò tutto quanto riuscì ad incamerare.
Il cellulare di Luca, protetto dal contenuto dello zaino, per fortuna non si era bagnato. Vennero presto individuate le ultime telefonate fatte e ricevute. Ovviamente c’erano quelle della madre rimaste senza risposta nelle ore della sparizione, ma Manfredi fu colpito dalla chiamata ad un numero fisso che il ragazzo aveva fatto il pomeriggio precedente. In ufficio chiese subito che venisse identificato.
Come era solito fare durante le indagini, dopo avere raccolto quanti più elementi potesse, Manfredi lasciava sedimentare il tutto nella sua testa.
Luca aveva vagato senza una meta perché stanco del bullismo subito, o piuttosto per il brutto voto preso in italiano, o forse aveva solo voglia di starsene lontano da casa. Si era trattato di un tragico incidente per la scarsa visibilità con la pioggia. La strada era una interna di campagna e poco frequentata nelle prime ore del pomeriggio; nessuno aveva visto o sentito nulla. L’autopsia aveva confermato la morte avvenuta per un forte impatto con un autoveicolo. Forse il pirata della strada non si sarebbe mai costituito, e a quel punto per il commissario era doveroso spiegare alla famiglia dove il ragazzo stesse andando e perché.
Ci vollero due giorni di ricerche per riuscire a mettere insieme tutti i pezzi della storia ma finalmente Manfredi era in grado di riscostruirne le ultime ore. Luca aveva telefonato al parrucchiere del paese vicino per fissare un appuntamento ed era lì che stava andando. La forte pioggia gli aveva impedito di usare la bicicletta, ma non poteva fermarsi per così poco. A piedi con lo zaino e l’ombrello era partito da scuola e aveva fatto quei chilometri in solitaria, pensando ne valesse la pena perché avrebbe realizzato il suo sogno. I soldi li aveva messi da parte negli ultimi mesi, risparmiando sugli euro della paghetta settimanale. Cosa avrebbero detto i suoi compagni? Era sicuro che la sua fosse una grande dimostrazione di personalità, ma non era certo che gli altri lo avrebbero accettato, nonostante il cambiamento. Lui aveva deciso ed era contento di come aveva implementato il suo piano.
Manfredi entrò nel salone di parrucchieri unisex, ben visibile sulla strada principale del paese. Aveva annunciato la sua visita un paio di ore prima. «Si accomodi commissario, l’aspettavo».
«La ringrazio per la sua disponibilità a ricevermi subito» lui rispose al titolare del negozio.
«Sì, un ragazzino aveva appuntamento qui da noi tre giorni fa. Ma non è mai arrivato. Non mi dica che si tratta di quel poveretto investito da un’auto pirata!» fu la prima risposta alle domande del commissario.
«No, non doveva tagliare i capelli, aveva preso appuntamento per farsi fare le treccine afro. Non era una richiesta strana, ne abbiamo fatte diverse» proseguì.
Manfredi ebbe così la conferma della propria idea. I capelli lasciati crescere più lunghi del solito e la passione per la Formula 1: Luca voleva soltanto imitare il suo idolo Lewis Hamilton, ritratto in primo piano nel poster in camera sua.