di Irma Nisi
La Paz, Bolivia, 21 Ottobre 2018
Finalmente! Questa mattina sono arrivata a La Paz, città incredibile e spaventosa. La mia pensione si affaccia su una piccola via vicina al Museo de la Coca e al Mercado de Hechiceria, il mercato delle streghe.
L’ho scelta apposta: in questo viaggio vorrei vedere con gli occhi di chi non ha limiti e riuscire a fare ciò che da me stessa non mi attendo. Quindi che l’avventura abbia inizio: Bolivia, sono tua!
La Paz, Bolivia, 23 Ottobre 2018
Dopo due giorni trascorsi a La Paz, stamattina, vestita come le donne indigene, con le loro vestagliette, gli scialli dalle frange lunghe e la bombetta in testa, sono andata alla stazione degli autobus e delle corriere. Sopravvivere all’assenza dei suoni, dei colori e degli odori di questa assurda città mi è sembrato impensabile, ma l’idea di visitare Tiwanaku e il lago Titicaca mi ha dato la carica giusta per ripartire.
Alla biglietteria l’impiegata mi ha detto:
«Puoi viaggiare con la nostra compagnia nazionale e sono quarantotto boliviani. Devi fare due cambi e in tutto ci impieghi quattro ore. Oppure puoi viaggiare con Maurillo» e mi ha strizzato l’occhio.
«Maurillo? E quanto spendo con Maurillo?» ho risposto perplessa.
«Prova a chiederglielo. Guarda, la sua corriera è lì, in fondo allo spiazzo».
Così mi sono avvicinata ad una corriera azzurra, che in realtà era stata azzurra in tempi migliori, dove un uomo intorno ai quarant’anni staccava biglietti seduto sui gradini della porta anteriore.
«Buongiorno. Devo andare a Tiwanaku. Posso sapere quanto spendo e quanto ci impiego?»
«Quindici boliviani e cinque ore di viaggio» mi ha risposto parlando in spagnolo con un marcato accento francese senza neanche guardarmi in faccia.
E così mi sono ritrovata seduta più o meno a metà di questa corriera, a dir poco stravagante, popolata da boliviani rassegnati all’attesa, pronti a partire e per niente frementi di arrivare.
Siamo partiti alle dieci, con soli quindici minuti di ritardo sull’orario previsto. Mi è sembrato di buon auspicio: partire e arrivare a destinazione senza intoppi. Ma forse avevo elaborato questo concetto un po’ troppo prematuramente.
E infatti dopo due ore di viaggio accompagnato da canti pieni di sentimento religioso e musiche melanconiche, la corriera si è fermata più o meno nel nulla e da una specie di autogrill boliviano è sbucata una donna di età indefinibile con addosso il consueto abbigliamento tradizionale. Su un comodo fianco era appoggiata un enorme pentola di simil rame dalla quale faceva capolino il manico di un mestolo. Maurillo le ha aperto la porta anteriore e lei è entrata a fatica. Ha appoggiato la pentolona su un sedile libero e da sotto la gonna ha estratto una scodella e un cucchiaio.
Io la guardavo e credevo di sognare. Mi sono data un pizzicotto: non sognavo per niente.
Ha riempito il mestolo e ha versato il contenuto nella scodella. Poi ha passato cucchiaio e scodella al passeggero più vicino che con naturalezza l’ha vuotata in due minuti e gliel’ha restituita.
Non poteva essere reale tutto questo. Mi sono data un’altra serie di pizzicotti sulla coscia, ma non mi sono svegliata neanche stavolta.
Intanto la donna ha preso la scodella e con l’orlo della gonna l’ha ripulita insieme al cucchiaio. Poi ha versato un altro mestolo di quella sbobba indefinibile e l’ha passata ad un altro passeggero.
E così fino a quando non è stato il mio turno.
Mi sono riempita di schiaffi, ma niente: ero sveglia, incontrovertibilmente sveglia.
La vecchia mi ha messo la scodella sotto il naso e io ho fatto cenno di no con la testa. Ma lei è rimasta lì fissa e in attesa. Maurillo ha urlato dal suo posto: «È compresa nel viaggio, non faccia storie e mangi».
Ero allibita e ovviamente schifata fino all’inverosimile. Però da quella scodella veniva su un profumino niente male e allora mi sono fatta coraggio e ho assaggiato. Il più buon brodo di pollo mai mangiato in vita mia.
Peccato che mentre la donna continuava la distribuzione del pasto, io sia dovuta correre in quella specie di autogrill alla ricerca di un bagno, che poi era una turca a cielo aperto. Che sia stata suggestione o effetto immediato, non ne ho potuto fare a meno e alla fine mi sono sentita stanca, spossata come se avessi camminato per tre ore sulle ginocchia. Mi sono lavata come meglio ho potuto e sono risalita sulla corriera.
Il cretino mi ha guardato e da sotto i baffi mi ha detto sogghignando col suo insopportabile accento: «Il pranzo è stato di suo gradimento, mademoiselle?». L’ho fulminato con lo sguardo e sono andata a prendere posto. Ho appoggiato la testa al finestrino e in due minuti mi sono addormentata.
Ma questo autista è un pazzo! È con questo pensiero che mi sono svegliata di colpo mentre dormivo di sasso. Non potevo credere a ciò che i miei occhi vedevano e le mie orecchie sentivano.
Maurillo si muoveva su strade tortuose e strette guidando con un solo braccio, mentre con l’altro reggeva una bottiglia contenente un liquido non ben specificato. E intanto cantava stonando canzoni in francese.
Mi sono detta: «Oddio, ma qui rischio la vita, e non ho neanche cominciato il mio giro!». Così mi sono avvicinata a quel fuori di testa lì e gli ho urlato:
«Ehi Charles Aznavour, la smetta di bere e veda di guidare con entrambe le mani e soprattutto: rallenti!»
Il pazzo ha inchiodato facendo gridare tutti i passeggeri mentre i bagagli dalle cappelliere cadevano sulle nostre teste.
Ha spento la corriera, ha lasciato il posto di guida e sovrastandomi di almeno venti centimetri ha biascicato feroce:
«Questo, questo non è Aznavour, ignorante! Questa è Barbara…» e incredibilmente, mentre io mi attendevo un’aggressione in piena regola, lui si è accasciato sul sedile del guidatore e si è messo a piangere.
Non ci potevo credere.
«Ehi, ehi. Ma che succede? La smetta di frignare, dobbiamo arrivare a Tiwanaku».
Dietro di me sentivo strani movimenti.
I passeggeri della corriera stavano lentamente abbandonando il mezzo.
«Ehi voi, dove andate?»
«Signorina, per oggi il viaggio è finito, Maurillo oggi non va avanti. Venga con noi al rifugio. Sono solo pochi passi».
«Ma com’è possibile? Mi ha detto che il viaggio dura cinque ore».
«Dura cinque ore infatti, ma senza contare le pause. Le pause non sono viaggio».
Mi è venuto da piangere, volevo mettermi a singhiozzare lì accanto a quell’idiota. Ma vedevo tutti gli altri passeggeri allontanarsi, così mi sono fatta coraggio e zaino in spalla li ho seguiti verso il rifugio. Intanto erano già le quattro del pomeriggio. Fra un paio d’ore sarebbe tramontato il sole.
Il rifugio era una costruzione in legno su due piani. Uno stanzone occupava completamente il piano inferiore ed una scala stretta e ripida dava accesso a quello superiore suddiviso nei due dormitori maschili e femminili. Il bagno era una turca all’esterno. L’ambiente era spartano, ma io ne ricavavo comunque una sensazione di benessere e tranquillità. Mi sono seduta su una sedia posta a capotavola e ho tirato fuori dallo zaino un sacchetto con i biscotti che mi ero portata da casa. Una giovane donna mi si è avvicinata e mi ha chiesto se potevo fargliene assaggiare uno. Mi sono sentita un’egoista e allora ho detto:
«Prenda pure signora, prego, prendete» e così ho fatto passare il sacchetto di mano in mano fra i presenti. Ma proprio quando stava per tornare fra le mie mani, la porta del rifugio si è aperta e un barcollante Maurillo ha fatto il suo ingresso.
«Biscotti? Europei?» così ha cominciato a mangiare i biscotti superstiti con ingordigia fino a quando sono rimaste solo le briciole.
«Ne ho mangiati di migliori» ha poi detto guardandomi in faccia.
«Questo non le ha impedito di finire il sacchetto» ho ribattuto a brutto muso.
Ma lui ignorandomi si è diretto verso la scala e arrivato in cima ha urlato:
«Tutti a nanna! Si parte alle 5.00 domani».
Ero allibita, un viaggio di pochi chilometri si stava trasformando in un’odissea interminabile in cui a guida della nave vi era un despota a cui tutti obbedivano senza fiatare.
Infatti, in meno di pochi minuti, le donne avevano completato la loro visita al bagno e si erano ritirate nel dormitorio.
Un anziano, rivolgendosi a me con gentilezza, mi ha detto:
«Signorina, vada pure in bagno. L’ultimo uomo chiuderà la porta coi lucchetti per evitare l’intrusione di eventuali esseri viventi, siano essi di natura umana o animale».
Così sono andata in bagno e poi sono salita nel dormitorio. Ho aperto il mio sacco a pelo e mi ci sono infilata dentro. Conto di addormentarmi immediatamente e di risvegliarmi pronta per partire e finalmente arrivare a destinazione.
Tiwanaku, Bolivia, 24 Ottobre 2018
Quello che è successo nella giornata di ieri ha dell’incredibile, ma non è niente al confronto di ciò che è accaduto durante la notte.
Mi sono addormentata che c’era ancora luce, ma dopo qualche ora, forse per la fame, forse per la sete mi sono svegliata e non sono riuscita a riprendere sonno. Così dopo essermi girata e rigirata nel sacco a pelo per un po’, ho deciso di alzarmi e tornare al piano di sotto. Mi sarei messa a leggere e magari il sonno sarebbe ritornato. Cercando di fare meno rumore possibile, sono sgusciata fuori dal mio dormitorio e, sulle punte, ho percorso il corto corridoio che mi separava dalla scala. Poi, con altrettanta meticolosità, ho affrontato i gradini fino a quando mi sono ritrovata nello stanzone a pian terreno, buio e freddo. Per fortuna avevo con me una giacca pesante, così, sempre al buio, mi sono diretta verso la finestra dove ricordavo fosse l’interruttore dell’unico lampadario presente nella stanza.
E c’ero quasi arrivata, anzi stavo proprio stendendo il braccio per accendere la luce quando all’improvviso una sagoma lunga e sottile mi si è parata davanti.
«Ahhhhhh» ho urlato terrorizzata e per tutta risposta mi sono sentita dire:
«Stia zitta che sveglia tutti!».
Maurillo, con quell’insopportabile accento francese che cominciavo a detestare più dei pidocchi, osava darmi ordini dopo avermi fatto spaventare da morire.
«Lei è un cretino» gli dico per tutta risposta, «potevo rimanerci secca.».
Come sempre se n’è infischiato delle mie parole e dopo aver acceso la luce si è seduto in una delle due poltroncine che costituivano il massimo della comodità del luogo.
Rassegnata mi sono seduta anch’io e ho cominciato a guardarlo fisso. Dopo un po’ mi ha detto innervosito:
«Che ha da guardare? Non ha mai visto un uomo?».
Ma io ho continuato a fissarlo e a tenere la bocca chiusa e alla fine ha ceduto:
«Le chiedo scusa, mademoiselle. Sono stato decisamente scortese. Possiamo ricominciare tutto daccapo?»
Ho annuito, ci siamo riappacificati e abbiamo cominciato a parlare.
«Non sono sempre stato così, così…stronzo. Ero una persona normale prima. Ma la vita, la vita…Ah, la vita è stata dura con me» mi ha detto in uno slancio di confidenza.
«Perché dice questo, cosa le è successo?» e intanto sentivo il mio cuore intenerirsi per quell’uomo che tradiva nella voce un’autentica sofferenza.
«Signorina».
«Agata» dissi io.
«Ero un uomo felice, appagato. Vivevo con una donna meravigliosa e facevo una vita da favola, ma…»
«Ma?»
«Ma c’è che sono un cretino e ho rovinato tutto da solo».
«E cosa ha fatto?» gli ho chiesto aspettandomi una piccante rivelazione, «ha mancato di rispetto a sua moglie…insomma l’ha tradita?»
«Magari l’avessi tradita, sarebbe stato meglio, invece, invece…»
E ha cominciato a singhiozzare violentemente.
«Su Maurillo, si calmi. Si calmi e mi racconti tutto».
«Mauro, mi chiamo Mauro in realtà e sono dovuto scappare dalla Francia!»
«Oh mio Dio! Cosa ha fatto, cosa ha combinato?» ho detto con voce che tradiva curiosità e timore.
«Non si spaventi e ascolti. Si ricorda quello scandalo scoppiato due anni fa di cui fu protagonista il ministro delle infrastrutture? Si ricorda che tutti i giornali, riviste, quotidiani, siti internet pubblicarono una foto in cui un uomo alle spalle del ministro gli faceva il segno delle corna sulla testa al momento dello scatto? Lo sa chi era il ministro delle infrastrutture?»
Io muta ho fatto segno di no scuotendo la testa vigorosamente.
«Era mio suocero, ecco chi era! E lo sa chi era il fesso che gli faceva le corna alle spalle?»
Io a quel punto un sospetto ce l’avevo, ma sono rimasta in assoluto silenzio fino a quando Maurillo ha urlato:
«Io, ecco chi era lo scemo, ero io!»
E di nuovo è scoppiato a piangere mentre io a stento trattenevo le risate.
«Agata, ma perché ridi? Io nella vita avevo tutto ed ora non ho più niente. Elodie, mia moglie, mi ha sbattuto fuori di casa in mezz’ora e ha cambiato tutte le serrature».
«Maurillo…Mauro, però tua moglie mi sembra un po’ esagerata. Non ne avete più parlato?»
«Non abbiamo parlato mai più! Né l’ho più rivista. Se non in copertina».
«Eh?»
«Sì, dieci giorni dopo già occupava le prime pagine di tutti i rotocalchi. Lei e il suo nuovo amore!»
La situazione mi è subito stata più chiara. Povero Maurillo, “cornuto e mazziato” avremmo detto a casa mia.
«E tu stai ancora a piangere per quella lì, cosa…, come si chiama…, tua moglie… Non ti rendi conto che ha miseramente sfruttato la tua bravata come pretesto?»
Mi ha guardato con gli occhi di un cane bastonato, evidentemente non aveva proprio preso in considerazione l’ipotesi.
«Su Mauro, sei ancora abbastanza giovane. Hai tutto il tempo per ricostruirti una vita. E poi non sei neanche malaccio. Guidi di merda, ma chissenefrega! Trovati una bella boliviana, metti al mondo cinque figli e fatti venerare come un pascià!»
Non credevo alle mie orecchie: stavo sparando una cretinata dopo l’altra. In antitesi anche con la più minimal delle filosofie femministe.
Ho creduto fosse proprio ora di tornare a dormire.
Mi sono alzata e ho detto a Mauro:
«Su, andiamo a letto che domani bisogna arrivare a Tiwanaku davvero».
Docile come un cucciolo mi ha seguito di sopra e in silenzio ci siamo ritirati nei rispettivi dormitori.
Stamattina al risveglio mi si è avvicinato e mi ha detto:
«Grazie Agata, è stato bello parlare con te. Mi piacerebbe cenare insieme questa sera. Sei libera?».
Presa così alla sprovvista ho accettato e lui contento ha messo in moto la corriera azzurra e ci ha portati a Tiwanaku in un baleno. Più o meno in un baleno considerando la sua guida!
Ora sono in albergo e mi preparo per fare un giro in questo luogo fiabesco dove una cultura ignota ai più ha impresso un segno nell’eternità. Poi raggiungerò Mauro dove abbiamo concordato e magari passerò anche una bella serata con quello svitato.
Tiwanaku, Bolivia, 25 Ottobre 2018
Sono intontita. Quanto ho bevuto ieri sera! Siamo andati in questo posticino un po’ fuori dalle rotte turistiche e abbiamo mangiato e bevuto: salteñas, chuño, mas motes accompagnati da batido e…tanta tanta birra. E poi abbiamo parlato, parlato e i minuti sono diventati ore.
Che personaggio! Che non fosse proprio francese era evidente, ma non avrei mai immaginato che la sua famiglia fosse originaria di un paesino a pochi chilometri dal mio e che fosse emigrata a Parigi quando Mauro aveva già otto anni.
«Emigrata è un eufemismo, Agata. Siamo dovuti scappare di notte. Mio padre era sommerso dai debiti. I creditori ci stavano col fiato sul collo. Non ci lasciavano più neanche i soldi per mangiare. Avrei dovuto capirlo subito che scappare sarebbe stata la costante della mia vita».
Quanto mi hanno intristito queste parole, a tal punto che non riuscivo più a parlare. Ma Mauro ha subito chiamato un giro di birra e così abbiamo sbloccato la faccenda.
«In Italia ho lasciato la mia prima fidanzatina, Maria. Sai che oggi pesa centoventi chili? Per fortuna che sono scappato!»
Ha cominciato a piacermi sempre di più. Ha avuto una vita ricca, piena di avventure, tutte fallimentari, ma almeno ha vissuto. Io invece?
«Mauro, io la mia vita l’ho passata sui libri! Sono così noiosa che persino il mio ex che ha un Q.I. più alto di quello di Einstein mi ha mollato, fra l’altro per una che studiava giurisprudenza pro forma e passava i pomeriggi in palestra».
Sarà stato il cibo, sarà stata la birra, sta di fatto che senza accorgercene siamo passati dal parlare entrambi un modesto spagnolo a colloquiare speditamente in italiano.
Usciti dal ristorante ci siamo messi a camminare per le strade di Tiwanaku. Lui mi ha dato tante informazioni sul posto che nessuna guida per turisti giapponesi avrebbe mai potuto fornire.
«Sei bravissimo, sembra che tu abbia fatto sempre la guida in vita tua», gli ho detto mentre camminando e parlando siamo arrivati in una stradina buia. Mauro si è fermato davanti a una delle casette della via e mi ha detto:
«Agata, questa è la casa di uno dei più noti maestros curanderos y consejeros».
«Cosa?»
«Sì, Agata, hai capito bene. Questa è proprio la casa dello stregone, dello sciamano».
La mia mente ha cominciato a macinare pensieri alla velocità della luce e alla fine ho detto:
«Mauro, ma tu torneresti ancora insieme a Elodie se lei lo volesse?».
Mi ha guardato e mi ha risposto: «Senza alcun dubbio!»
«E allora andiamo!»
L’ho preso per mano e insieme abbiamo varcato la soglia della casa. Ci siamo ritrovati in un piccolo e buio stanzino alle cui pareti erano appese fotografie lugubri in stile “The Others”, quel film fantastico con la Kidman. Intere famiglie che sembravano passate a miglior vita erano esposte accanto a foto di fanciulle di bianco vestite pronte per la Prima Comunione o matrimoni morganatici con divinità locali.
Ero divertita e spaventata allo stesso tempo.
Seduto su un divanetto di corda un uomo magro magro stringeva fra le mani, tormentandolo, un cappello.
Dopo un paio di minuti un ragazzino è uscito dall’unica porta che si affacciava su quella stanza lasciando entrare l’uomo seduto di fronte a noi.
«Agata, ma dici che va bene fare una cosa così?»
«Così come?»
«Insomma, questa è stregoneria, non vorrei che accadesse qualcosa a Elodie».
«Non accadrà nulla, stai tranquillo. Andrà tutto per il meglio». Caspita che ingenuo! Ma come si fa a credere alle streghe? La situazione si stava rivelando molto, molto più divertente del previsto.
Siamo rimasti in attesa ancora quindici minuti e poi l’uomo di prima è uscito dalla stanza con il volto felice e rilassato proprio come il ragazzo.
Ora era il nostro turno.
Io davanti e Mauro dietro siamo lentamente entrati nella stanza. Era tutto completamente buio, tranne per una piccola fiamma che illuminava un tavolo posto in fondo. E dietro a quel tavolo, un omone nero di almeno centocinquanta chili distribuiti per altrettanti centimetri sedeva sprofondato in un divano viola e ci guardava senza vederci.
Accanto a lui si intravedevano erbe, pietre, polveri, animali disseccati, feti di lama e tutto l’armamentario di ogni bravo stregone che avevo già avuto modo di ammirare al Mercado de las Brujas. Sull’altare l’immagine della Vergine e di Pacha Mama, feticci e talismani. Nell’aria aleggiava un odore pungente forse dovuto alle erbe e agli incensi che lo stregone stava bruciando.
Ci siamo avvicinati a lui con circospezione e il suo sguardo si è fermato su di me per alcuni istanti per poi passare a Mauro.
«Come mai siete qui stranieri?» ci ha chiesto sospettoso.
Mauro non riusciva neanche a parlare e allora è toccato a me spiegare che avevamo bisogno del suo potere per dare il giusto corso agli eventi.
«Non sono io che posso. Tutto dipende dalla Madre Terra, è solo opera sua. L’importante è non avere fretta, perché è la Madre Terra a scegliere il momento propizio».
L’uomo parlava senza mai guardarci negli occhi, come in una sorta di trance. Probabilmente tutte le foglie di coca che masticano qui a Tiwanaku, a quasi 4000 metri di altitudine, non aiutano in fatto di lucidità.
«Va bene» gli ho risposto incuriosita e ci siamo messi d’accordo per le diciotto del giorno successivo.
Così io e Mauro ce ne siamo andati a letto in attesa di assistere al primo rito mescalinico della nostra esistenza.
Tiwanaku, Bolivia, 26 Ottobre 2018
Questa mattina finalmente ho visitato Tiwanaku: la Puerta del Sol, il tempio di Kalasasaya, la piramide di Akapana. Chi l’avrebbe mai detto, tutto è così mistico, magico…Appunto! La mia testa non fa che pensare al rito di stasera. La mia baldanzosa tracotanza sta lasciando posto a qualche timore. Cosa succede davvero durante questi riti? E se dovessi essere coinvolta in qualcosa di pericoloso, amorale, o addirittura illegale?
Noooooo, non ci voglio neanche pensare.
Oramai mancano solo un paio di ore. Chissà Mauro in quale stato d’animo sarà.
Spero di tornare qui sana e salva. Nel caso ciò non fosse, a chi dovesse trovare questo mio diario dico solo che sono stata felice in questi giorni e che adesso la Bolivia è un po’ casa mia.
Tiwanaku, Bolivia, 27 Ottobre 2018
Oh mio Dio! Oh mio Dio! Giuro che non appena torno a casa vado a farmi benedire da Don Danilo.
Non avrei mai immaginato di poter prendere parte ad una cosa del genere.
Ieri alle cinque del pomeriggio sono andata alla corriera azzurra. Cavolo se Mauro era mal messo.
«Agata, ho paura…» mi ha detto.
Ma io l’ho imbottito di rassicurazioni e l’ho accompagnato al tempietto del nostro sciamano.
Lui ci attendeva. Aveva preparato tutto. Sulla mesa, l’altare, aveva messo in bella vista una sorta di calice contenente il San Pedro, l’allucinogeno a base di mescalina.
«Vi sembrerà di essere in un sogno. All’inizio avrete delle visioni e poi proverete il distacco. I vostri pensieri saranno trasportati in una dimensione lontana e raggiungerete il più alto stato di consapevolezza, quello in cui non ci sono divisioni fra Noi, il Cielo e la Terra. Sarà allora che la vostra vita cambierà per sempre».
«Fantastico» ho urlato io, «è proprio quello che ti ci vuole Mauro». Lui però era bianco virante al giallo e sembrava già in preda a sostanze psicotrope.
Dopo tutto questo preambolo lo sciamano ha deciso che si poteva dare inizio alla cerimonia e si è andato a vestire per l’occasione.
«Scappiamo Agata, scappiamo».
«Ma che dici, io non voglio perdermi questo rito per niente al mondo».
E poi fra una spiegazione e l’altra, la Gringa, l’aiutante stregona, era già venuta a battere cassa. E io, come sempre, non avevo certo soldi da sprecare.
Così la cerimonia preliminare ha avuto inizio. Al tempo di un sonaglio sciamanico, lo stregone e la Gringa hanno intonato canti e preghiere, invocando dei indigeni e santi cattolici.
Ero emozionatissima e sebbene non avessi ancora assunto alcuna sostanza, mi sentivo già in una dimensione parallela, in una di quelle regioni cosmiche di cui ci aveva parlato prima il santone.
Lo sciamano, dopo aver bevuto egli stesso l’estratto puro di San Pedro, ha fatto fare la stessa cosa alla Gringa. Poi è toccato a Mauro e quindi a me e agli altri partecipanti. E da questo momento i miei ricordi si fanno piuttosto confusi.
Mi pare che il curandero ad un certo punto abbia raggiunto Mauro e abbia cominciato a massaggiare e aspirare su varie parti del corpo per estrarre la sua energia sovrannaturale, lottando contro ogni forza in grado di causare dolore, sofferenza e afflizione.
Alla fine, non so bene dopo quanto tempo, Mauro, io e tutti quelli che avevano partecipato al rito di purificazione, ci siamo avvicinati alla mesa, dove lo sciamano stava selezionando le erbe per l’augurio di buona fortuna e quelle per curare i nostri disturbi.
Nel mio offuscamento mescalinico mi è parso di vedere lo sciamano lanciare conchiglie confermando a gran voce ognuna delle sue scelte per poi soffiare profumo, acqua, zucchero e cipria su ciascuno di noi. E solo alla fine, quando eravamo oramai tutti sfatti e ci rotolavamo per terra come cani con le pulci, ha dato a ciascuno di noi una bottiglia contenente le erbe medicinali sacre.
Siamo scappati via e mi sono ripresa solo adesso.
Di Mauro al momento non so niente.
Ora proverò ad andare alla corriera azzurra e vedere in quali condizioni si trova. Considerando che sono le undici del mattino e che ieri ho saltato la cena, ho anche una discreta fame e mangiare qualcosa con il mio nuovo compagno di avventure non mi dispiacerebbe.
Come avevo scritto, così ho effettivamente fatto. Dopo una doccia rinvigorente sono andata alla corriera azzurra. Tutte le porte erano chiuse, ma non mi è sembrato che Mauro fosse all’interno. Un suo collega mi ha detto che quella mattina non lo aveva ancora visto e che forse era rimasto all’ostello degli autisti a due isolati da quel parcheggio.
Ostello degli autisti? Ma quanto sono civili qui in Bolivia. Un altro punto a favore.
Mi sentivo proprio di buon umore e ben disposta nei confronti del mondo. Avevo solo un piccolo problema e di questo volevo parlare con Mauro.
L’ostello degli autisti era una costruzione semplice su tre piani. A pian terreno c’era anche la reception. Ho chiesto di Maurillo e mi hanno detto che era in camera, la 23 al secondo piano.
Arrivata davanti alla porta sono stata raggiunta da “rumori”, “versi” a dir poco animaleschi. Essendo la porta solo accostata, l’ho aperta appena un po’ per spiare dentro la stanza.
Quel cretino patentato, coperto da un lenzuolo a mo’ di antico greco, era in ginocchio ai piedi di una bella andina:
«Sei la donna più bella del mondo, sposami, sarai la mia regina» le stava dicendo offrendole un anello fatto di carta igienica.
La poveretta, incantonata in un angolo della stanza, urlava che era solo un pazzo e che doveva lasciarla rivestire e pagarla.
«Sbrigati o chiamo il mio amico», continuava a ripetere con voce sempre più acida.
Evidentemente il San Pedro aveva sortito effetti leggermente diversi su di me e su Mauro.
Sono entrata in camera e ho “liberato” la ragazza. L’ho pagata e mandata fuori dalla stanza con addosso solo le mutande e il resto dei vestiti in mano.
L’effetto benefico che il rito mi aveva lasciato era immediatamente sparito. In quel momento odiavo lei e soprattutto lui che mi aveva fatto assistere a quel pietoso siparietto.
«Bene Mauro, ero venuta per vedere come stavi. E ho potuto apprezzare che non stai per niente male e che te la sei pure spassata. Bravo!»
«Agata, Agata, mia cara, piccola, dolce Agata»
«Io riparto fra qualche ora verso il Lago Titicaca. Addio, cerca di fare buon uso delle tue erbe. In bocca al lupo per il tuo futuro» gli ho detto con gli occhi pieni di lacrime.
Ma lui si era accasciato sul pavimento e dormiva.
Che cretino, un uomo assolutamente senza speranza.
Uscita dall’ostello mi sono messa in bocca qualche foglia di coca e ho iniziato a masticare per calmarmi un po’ mentre ritornavo alla mia pensione.
Ed ora sono qui a preparare lo zaino. Voglio lasciare Tiwanaku prima possibile.
È stata una bella avventura, ma è proprio ora di cambiare aria.
Sono in viaggio verso Copacabana e il lago Titicaca. Non sto meglio, anzi. Dovrei sentirmi consolata dagli ultimi avvenimenti successi prima della mia partenza da Tiwanaku, ma non è così. Mi sento come in quella condizione pre-ciclo in cui i tuoi ormoni fanno su e giù nel torrente ematico e la corrente ti trasporta fino a raggiungere cascate ripidissime di umore nero.
E il motivo principale della mia frustrazione è solo Mauro.
Prima che io partissi ha avuto il coraggio di cercarmi. Credevo volesse scusarsi per il misero spettacolo a cui mi aveva fatto assistere, invece voleva solo raccontarmi le sue novità.
«Agata, grazie al rito ho capito una cosa importantissima. Di mia moglie non me ne importa più nulla. Vivevo ancorato ad un passato squallido. Ma ora grazie al rito e grazie a te so che devo guardare al futuro».
Io ero lì davanti a lui, muta e col fiato sospeso.
«Ascolta Agata, so che quello che sto per dirti ti stupirà e forse mi considererai ancora di più un perdente e un sognatore»
Lo guardavo e sentivo il mio cuore battere all’impazzata.
«Ho capito che non si possono mettere da parte i sogni perché altrimenti la vita di ognuno diventa sterile e vana e non vale più la pena di essere vissuta. È per questo che adesso non posso più aspettare: Agata, farò lo scrittore! E di tutto questo posso ringraziare solo te».
Così dicendo mi ha abbracciata stringendomi forte, si è girato e se ne è andato mentre io lo guardavo inebetita.
Rimasta sola nella mia stanzetta ho versato tante di quelle lacrime che ho dovuto strizzare il cuscino finché all’improvviso ho avuto un’illuminazione e mi sono ricordata le parole dello sciamano: «Cerca la felicità su una penna di piume».
Ci credo che non ricordassi una frase del cavolo come questa. Ma ora tutto è chiaro! Peccato che sia troppo tardi.
La Paz, Bolivia, 3 Novembre 2018
Sono contenta, ho potuto prendere parte alla festa di Ognissanti, una fra le più sentite dai boliviani. Qui ogni famiglia che ha avuto la sfortuna di perdere un parente prepara tavole imbandite di ogni bene, i mast’ akus, dove, insieme a bevande e piatti tipici, ci sono i t’anta wawas, strani biscotti che riproducono le fattezze umane e che a dire il vero fanno anche un po’ paura. Durante la giornata si pregano i defunti e si ricevono in cambio i t’anta wawas. La tradizione dice che la notte il morto affamato e assetato viene a mangiare quello che è rimasto. Se il defunto andandosene rovescia per terra la tavola, significa che la famiglia sarà risparmiata da nuovi lutti.
È tutto molto suggestivo e un po’ mi dispiace non trattenermi ancora qualche giorno così da assistere anche alla Giornata dei Teschi, l’altra grande festa in onore dei morti, ma ho deciso di tornare a casa. Ho visitato dei luoghi meravigliosi e vissuto delle esperienze uniche, ma è ora di ritornare. Non ho più l’entusiasmo dell’inizio e restare qui non ha più senso.
È arrivato il momento di ripartire.
Tra poco mi recherò alla stazione degli autobus per andare in aeroporto. Temo di vedere la corriera azzurra e il suo improbabile autista neo scrittore e temo la mia reazione, ma sarà quel che sarà. Oramai con lui tutto è perduto.
La Paz, Bolivia, 4 Novembre 2018
Dedico le ultime pagine rimaste di questo quaderno agli ultimi fatti, che per me hanno dell’incredibile.
Come avevo scritto, ieri ho raggiunto la stazione degli autobus. Non ho saputo resistere e sono andata a spiare se la corriera azzurra fosse parcheggiata al suo posto. Ed era lì. Ma di Mauro neanche l’ombra. Dentro di me ho pensato che fosse una fortuna, troppe complicazioni. A quel punto rivederlo non avrebbe potuto fare la differenza.
Portavo con me una bottiglia in cui avevo preparato il filtro magico con le erbe dello stregone. Mi sono detta che era ora di chiudere definitivamente quel capitolo, così l’ho bevuta e mi sono incamminata verso l’autobus diretto a El Alto.
Ma proprio mentre stavo per salire sull’autobus, ho sentito il mio nome risuonare dagli altoparlanti.
«Oddio, che ho fatto!» mi sono detta spaventata.
Mi sono girata e lì, nascosto dietro un muretto ho visto lui, Mauro che mi guardava. I nostri sguardi si sono incrociati e ho capito che non avrei potuto fare altro che corrergli incontro. E anche lui ha cominciato a correre verso di me, ma è inciampato.
«Mauro, Mauro» ho gridato mentre lo raggiungevo.
Mi sono piegata su di lui e lui si è aggrappato a me e mi ha detto:
«Agata, sono il solito stupido. Io voglio stare con te, solo con te. Ma non è giusto. Tu sei giovane, hai tutta la vita davanti e io non posso offrirti niente se non una corriera azzurra e tanti sogni».
«Sei il solito cretino patentato» gli ho detto e l’ho baciato.
Il bacio più bello della mia vita. Un bacio d’amore.
E tenendoci stretti per mano ci siamo alzati e abbiamo cominciato a camminare.
Da lontano la corriera azzurra sembrava guardarci e aspettarci.
Anche lei adesso era pronta per ripartire.
Racconto affascinante ambientato in un luogo magico! Bravissima!
Ottima scelta dei nomi!
Che storia divertente…Mi sa tanto che il prossimo viaggio con le amiche lo organizzeremo in Bolivia!
Magari incontreremo il nostro Maurillo!!!
Complimenti alla scrittrice che ha saputo ricreare le atmosfere calde e avvolgenti del Sudamerica…avrà davvero mai partecipato ad un rito con sciamano e assunto mescalina?
Mi piacerebbe poterglielo chiedere di persona…
Il cognome ci suggerisce che tu sappia già la risposta… 😉
Riferiremo i complimenti all’autrice!