Epifania

Un uomo attraversa la strada e ripensa alla sua vita

 

di Roberto Ugolotti

 

Ivano era incredibilmente nervoso quel giorno. Le cose negli ultimi tempi non erano affatto andate come sperava. Sia a casa sia al lavoro. A casa ormai c’era abituato, non vedeva l’ora che uno dei due si decidesse a chiedere il divorzio, “Resto solo per i bimbi” continuava a dire lei, come se a loro davvero importasse di quei due marmocchi, viziati e stupidi, che passavano più tempo con le varie tate, che facevano scappare una dopo l’altra, che con i loro stessi genitori. Vai poi a sapere chi era davvero il padre di Alfredo, quegli occhi azzurri non ce li ha nessuno in famiglia, né in quella di Ivano, né in quella di Guia. “Ma vattene perdio, vattene” continuava a pensare Ivano mentre il telefono insisteva a squillare a vuoto. Già, perché anche al lavoro stava andando tutto a puttane, e ora quello stronzo di Michele neanche gli rispondeva. “Rispondi, pirla!” urlò al telefono. Che disastro quei numeri, al di sotto del 50% di quello che si aspettava, o meglio, di quello che aveva detto si sarebbe aspettato. Sapeva di avere mentito, lo sapeva che quelle previsioni erano troppo alte, ma d’altronde, che ci vuoi fare? O mangi, o sei mangiato. E lui doveva mangiare, quello era il suo anno, era l’occasione. Il vecchio leone era debole e al primo passo falso, gnam, lui se l’era pappato in un solo boccone. Ma ora il livello della merda stava salendo, e ben prima del previsto. Di questo passo avrebbero dovuto lasciare a casa mezza azienda, e fin qui chissenefrega, ma poi un passo alla volta, sarebbero arrivati anche a lui, e lui doveva essere bravo a trovare un parafulmine, un povero fesso a cui dare la colpa prima che fosse stato troppo tardi.

A tutto questo pensava Ivano, il 18 settembre alle 21.14, mentre attraversava senza guardare Viale Milazzo.
A tutto questo pensava quando sentì il clacson dell’Audi A3 che sfrecciava verso di lui.
A tutto questo pensava quando vide i fari puntati contro di lui.
Smise di pensare a tutto questo, e si mise, in quell’attimo fatale, a pensare alla sua vita.
Pensò a come l’aveva vissuta, e a come l’avrebbe vissuta se solo fosse sopravvissuto.
Pensò a suo padre, che aveva rinchiuso in un ospizio appena ne aveva avuta l’occasione. A quando da bambino giocava con lui a pallone in cortile. A quella volta che lo portò in ospedale, quando si fece male. A quanto avesse insistito che continuasse negli studi e l’avesse incoraggiato e sostenuto in ogni sua scelta.
Pensò a sua madre, che era morta mentre lui era in un viaggio di lavoro. Pensò che le mancava molto e che avrebbe dato tutto per baciarla un’ultima volta.
Pensò a quanto poco tempo aveva dedicato ai suoi figli, che avevano bisogno di un padre più che mai: una figura di riferimento, o anche solo degli abbracci sinceri, una spalla su cui piangere, un gesto affettuoso, un regalo sentito e non solo l’ultimo giocattolo di merda pubblicizzato in tv.
Pensò a Guia, sua moglie. L’aveva mai davvero amata? O era stata solo una trophy wife, da sfoggiare al circolo e in società? Erano mai stati felici assieme? E continuava a tenersela lì, solo per paura che il divorzio gli costasse una fortuna.
Come se poi di soldi non ne avesse abbastanza. Tre? Davvero? Una l’aveva guidata a malapena dal concessionario a casa. Aveva davvero bisogno di tutto quello per vivere? Se quell’Audi non l’avesse ammazzato sul colpo, a questo pensò Ivano, avrebbe venduto tutto quello che non gli era necessario e l’avrebbe dato in beneficenza. Poi, si sarebbe licenziato, e si sarebbe messo a fare qualcosa di utile per la società.
Pensò a quanto tempo avesse passato in consigli di amministrazione, in interminabili riunioni, con gente che, ricambiato, detestava. E per cosa poi? Che senso aveva avuto la sua vita? Cosa ne sarebbe rimasto? Chi l’avrebbe ricordato, e come? Appena l’Audi l’avesse ammazzato, a cadavere ancora caldo, si sarebbero scannati per prendere il suo posto. Al suo funerale l’avrebbero pianto sì e no suo padre, e forse i suoi figli. Tutti gli altri avrebbero passato il funerale a guardare l’orologio impazienti di tornare a lavorare. Guia stessa si sarebbe sentita sollevata e si sarebbe risposata in breve tempo.
Ma se fosse sopravvissuto, tutto sarebbe cambiato. Avrebbe passato il resto della sua vita a sistemare gli errori commessi, a riparare i torti causati, a tenersi vicine le persone che amava e a contribuire a creare una società migliore.
“Sì – pensò Ivano in quel brevissimo istante in cui sentì il clacson e vide i fari – questo incidente è la cosa migliore che mi sia mai capitata in vita. Ho capito i miei errori. Sono un uomo cambiato, un uomo migliore.” Si sentì felice, come mai prima.

L’Audi sterzò di colpo e, con un’abilissima manovra, schivò Ivano e proseguì la sua corsa ad alta velocità.

Ivano restò col telefono in mano a guardare l’Audi terminare la sua corsa contro un lampione a bordo strada.

Insultò il guidatore e chi l’aveva messo al mondo, poi ricompose il numero di Michele; doveva parlare con quello stronzo, a costo di andare sotto casa sua. Come cazzo si permetteva di ignorarlo? Dopo tutto quello che aveva fatto per lui? Ah no, Ivano non sarebbe caduto. Non poteva permetterselo, avrebbero scoperto tutti i casini che aveva combinato con i conti, tutti quei soldi che si era intascati e che non aveva intenzione di restituire. Poi avrebbe anche dovuto chiedere a Guia e a suo padre dei soldi dai conti che aveva intestato a loro, e non aveva voglia di parlare con loro di questo, non aveva voglia di parlare con loro in generale, aveva troppe cose da fare, doveva salvarsi il culo, continuare a volare in alto, a raggiungere i propri scopi, a dimostrare di essere ancora una volta il migliore, il numero uno, e a vivere la vita dei suoi sogni.