(ovvero come stati d’animo diversi possono modificare considerevolmente la nostra percezione dell’ambiente circostante. Ma comunque non l’esito finale della vicenda)
di Mattia Bragadini
“Oh raga, ma guardate che casino. E questo dove ci manda a parcheggiare? In Po? No, ma c’è troppo imballato, non entreremo mai. Io ve l’avevo detto: stiamo a casa, andiamo a fare un giro alla festa della porchetta che c’è la cover band dei Dear Jack… non mi ascoltate mai.”
“Madonna, come sei peso! Ma se stavi a casa tu, invece?”
“Oh Ricky… guarda che ho organizzato questa serata qua da due mesi. Per me poteva pure finire a cena, o al massimo al bar, senza bisogno di venire fin qua a buttar via dei soldi. Ma tanto a voi quello che beve poco e guida vi faceva comodo, no?”
“Ma rilassati, cazzo. Guarda quanta figa che c’è piuttosto!”
“Sì sì che la vedo, vedo infatti questa idiota che mi sta per parcheggiare dentro la portiera! Oh! Stai attenta! Fanno le fighe con i tacchi e poi in macchina non riescono nemmeno a schiacciare il freno.”
“Quello che vuoi, però guarda là che stacco di coscia. Oh io mi butto.”
“Luca! Torna qua, smettila di fare il coglione. Già ti sei bevuto tutta Valdobbiadene, cerca di non farti riconoscere. Ricky vallo a recuperare prima che lo prendano a calci.”
“No, ragazzi, guardate che fila. Se va bene qua c’è da restare fuori fino alle due. Poi guarda com’è conciato Luca. Non lo faranno entrare mai.”
“Perché? Cazzo c’è?”
“In primis sei pieno come un treno merci, in secundis vieni in un posto così con le scarpe da tennis.”
“Ma mollami, sono Bikkembergs.”
“Sì sì… spiegalo a quel lottatore di sumo sovrappeso che deve farci entrare.”
“Oh ragazzi! Calmi, mandate avanti a me col coccodrillo e tutto andrà liscio.”
“Che vi avevo detto? Eccoci qua, forza tutti a prendere da bere. Offro io!”
“Già bella roba… ma ancora mettono la techno? Porca troia non riesco neanche a sentire quello che mi dici da un metro!”
“Cosa?”
“Eh?”
“Andiamo a bere!”
“Cosa”
“BERE!”
“Cosa bevo?! C’è in giro più polizia che a un comizio di Salvini!”
“Ma dai! Bevi adesso così tra quattro ore hai già assorbito!”
“Quattro ore!? E quando cazzo volete tornare?”
“Ehi! Ehi! Oh! Tre! Long! Island!”
“Figa Ricky, ma proprio al bar con più fila dovevi venire?”
“Oh ma hai visto che due missili la tipa? Se la vede Kim le dà la cittadinanza nordcoreana ad honorem.”
“Sì sì, adesso vediamo come fa i cocktail…”
“E come vuoi che li faccia, come gli altri… grazie, tesoro!”
“Smettila di provarci con le bariste, è da sfigati: sono obbligate a parlare con te.”
“Allora, com’è?”
“Sa di tisana corretta piscia, praticamente è come buttare dodici euro nel cesso.”
“Sì, ma tanto erano soldi miei, quindi vedi di non rompere il cazzo e andiamo a ballare.”
“Ballare ‘sta roba? No guarda, piuttosto vado a fare un giro fuori. Ma Luca dov’è?”
“Eccolo.”
“No vabbè, ti distrai un attimo e ha già in mano un mojito… porca troia, ha cremato quella specie di Long Island in 46 secondi. Quel ragazzo ha un problema con l’alcool.”
“Secondo me non ha nessun problema con l’alcool: anzi vanno d’accordissimo!”
“No, Ricky, guarda! Ma cosa sta facendo quello stordito?”
“Ahahahah! Niente… sta arricchendo il suo parco seghe con qualche fotogramma della cubista.”
“Ma proprio noi lo dobbiamo avere lo sfigato che si mette a fissare le ballerine in mezzo alle gambe?”
“Ehi ehi andiamo a prenderlo… c’è un gorilla che lo sta puntando.”
“Ci credo, ci mancava solo che allungasse le mani. Ma che razza di idiota!”
“Dai dai, portiamolo via!”
“Cazzo, Luca, ma sei rincoglionito? Volevi farci cacciare fuori?”
“E soprattutto volevi farti massacrare di botte?”
“Quello sarebbe stato il male minore.”
“Stronzo!”
“Coglione!”
“Ok ok vi voglio bene anch’io.”
“Vabbè dai, datemi da bere.”
“Sai che novità…”
“Oh ma sei pesante come un editoriale di Gramellini!”
“Boh vabbè, io esco. Ci becchiamo dopo.”
Finalmente un po’ d’aria e un po’ di riposo per le mie orecchie. Faccio il giro lungo nella parte esterna dove c’è una seconda pista, qua non c’è la techno ma un tristissimo tuffo negli anni ’80, non so cosa sia peggio. C’è un gruppo di ragazze che si sta scatenando imitando il colpo di testa di Raffaella Carrà in Tanti auguri, ridono. Cosa ci sarà da ridere, poi? Ah, stanno scherzando con quella ragazza seduta sul divanetto qualche metro più in là. Però, carina! Semplice, pulita, sembrerebbe proprio il mio tipo. E sembra anche che abbia la mia stessa voglia di essere qua. Quasi quasi…
Mi siedo accanto a lei, lei mi guarda con un sorriso incuriosito e io le indico il cielo: “Hai visto che luna?”
* * * * *
La notte è calda, ma l’aria è frizzante. Le luci al neon ci accolgono con il loro carico di promesse, mentre parcheggiamo seguendo le indicazioni del ragazzo con il giubbotto arancione e della sua paletta; chissà che gusto passare le notti qua a guardare gli altri che si divertono, lo pagheranno bene almeno?
Dall’auto accanto alla nostra scendono un paio di sandali gioiello col tacco a stiletto, faccio risalire lo sguardo sulle gambe nude e abbronzate, più su, più su, più su. La gonna sembra non arrivare mai. Eccola. Venti centimetri sotto l’ombelico. D’istinto mi guardo: scarpa scamosciata, pantaloni cargo sportivi ma chic, camicia button-down a righine azzurre tono su tono. Non c’è pezza, stasera si entra.
Gli altri sono più o meno al mio livello: Ricky ha la divisa da fighettino di città col panta chiaro, il mocassino e il maglioncino sulle spalle sopra la camicia Oxford. Luca è in polo Lacoste e jeans senza rotture, ha fatto abbondantemente benzina al bar prima di partire, e adesso affonda incerto le Bikkembergs sullo sterrato del parcheggio inseguendo l’amica bruna di “gonna minimale” che a sua volta sta lottando contro le sue décolleté tacco dodici che non vogliono saperne di avanzare tra ghiaia e terra bagnata. Le si avvicina pericolosamente tentando di spiegarle qualcosa alitandole a due dita dal collo, lei si volta tramortita dalla ventata di prosecco e si prepara a prenderlo a borsettate quando corre in suo aiuto la terza amica, miniabito fucsia su un’esplosione di curve che ricorda il cavatappi di Laguna Seca.
Voliamo di corsa a recuperare Luca, una variabile impazzita che, se dovesse sfuggire al nostro controllo, potrebbe pregiudicare il nostro ingresso in questo paradiso e che quindi va tenuta costantemente sott’occhio. Le tre ragazze intanto hanno coraggiosamente accelerato i passi incerti pur di allontanarsi da noi il più velocemente possibile e il cordoncino rosso della corsia ingresso liste si spalanca al loro arrivo manco avessero il Telepass.
Noi invece, privi di gambe da esibire, ci mettiamo tranquilli in fila ad aspettare la gentile concessione di qualcuno che ci metta un mano una drink card con un perentorio “Vai” e restiamo in attesa sotto gli occhi dei buttafuori che ci scrutano attentamente alla ricerca di abbigliamenti non all’altezza, scarpe perdenti, tassi alcolemici al di sopra della norma. Ed è proprio qui, a nascondere gli occhi a forma di spritz di Luca, che rischiamo il rimbalzo.
Invece fila tutta liscio, nemmeno venticinque minuti di attesa e siamo dentro. Le tre valchirie del parcheggio sembrano essersi moltiplicate: ce ne sono almeno quattrocenti, tutte rigorosamente in tacco, tutte shatushate di fresco, tutte in assetto da competizione con trucco hollywoodiano e outfit da notte degli Oscar.
Ci dirigiamo subito al bancone del bar più vicino sventolando le nostre drink card, e dopo venticinque minuti di attesa riusciamo a comunicare tra urla e gesti le parole “Tre” “Long” “Island” alla ragazza del bar la cui scollatura ci rivela istantaneamente la ragione della fila chilometrica. Appena venticinque minuti dopo arrivano i tre drink, che accogliamo gioiosamente con un brindisi rumoroso per poi tirarne una decisa sorsata dalla cannuccia, sorsata con cui Luca aspira almeno tre quarti di bicchiere manco fosse un deumidificatore alla massima potenza. È ora di buttarsi nella mischia. La techno rimbalza pesantissima contro le pareti della sala interna, le frequenze basse pulsano nella gola, le luci stroboscopiche annebbiano la mente, il Long Island ci mette del suo. Le ragazze, tutte le ragazze, sembrano girare intorno a me come nel finale di 8 e ½, un grande carosello in cui si mischiano facce, mani, sandali, gambe, seni, miniabiti, jeans attillati, orecchini, labbra rosse. Luca sparisce per un attimo e dopo pochi secondi riappare con in mano un mojito. Come farà, poi?
Non faccio in tempo a chiederglielo perché è già sparito un’altra volta, e poco dopo lo rivediamo posizionato strategicamente sotto a uno dei due cubi di fianco alla consolle, mentre sta operando una visita ginecologica, non strumentale ma oculare, a una delle due ballerine che l’animazione ha gentilmente messo a disposizione dei nostri sogni e delle nostre mani destre. In ciò agevolato dal particolare abbigliamento della ragazza che i più disattenti potrebbero definire “inesistente”.
Scattiamo a recuperarlo nel momento in cui notiamo una specie di Mike Tyson un po’ più cattivo dirigersi minacciosamente verso Luca, che una volta memorizzato quello che gli serve per le sue serate solitarie, non si accontenta più di guardare e ha allungato una mano verso una caviglia della cubista. Lo arraffiamo per le ascelle, ringraziando il cielo che il cubo è sufficientemente alto da risparmiargli una denuncia per molestie, e lo depositiamo al bar, dicendoci che è comunque meglio ubriaco che fatto a pezzi da un gorilla. La situazione qua dentro sta però diventando insostenibile, ho bisogno di una boccata d’aria e una di normalità.
“Ragazzi, ho caldo. Faccio un giro fuori”.
Sto sudando, Martin Garrix, mi penetra nel cervello, ho sete. Vorrei bere un bicchiere di acqua fresca, ma come si fa a chiedere dell’acqua, qua? Evito il bar della maggiorata e ripiego su una birra alla spina, è fresca e dissetante. Cammino, ritrovo lucidità e la fermezza dei passi, adesso però mi siedo su un divanetto qua fuori.
Sul divanetto c’è una ragazza. Ha un viso dolce e pulito, e un trucco molto leggero in contrasto con i look da mangiauomini del 90 % della popolazione femminile del locale: a differenza loro mostra pochissimi centimetri di pelle: indossa un paio di jeans chiari impreziositi da strass e Swarovski e un top leggero che lascia però scoperte solo le braccia. Ha capelli biondi sciolti sulle spalle e occhi chiari e limpidi che adesso sorridono verso qualcuno; seguo il suo sguardo e trovo le sue amiche che stanno ballando nella pista esterna dove il disc jockey sta invece battendo sul revival. Ha un’aria assorta e malinconica ma non indispettita: è evidente che non ha nessuna voglia di essere qui e che lo sta facendo per compiacere qualcuno, ma lo fa senza nessuna insofferenza. Aspetta, dolcemente annoiata, che sia ora di andare a casa.
È molto più affascinante e sensuale di tutte le altre vamp che si dimenano in pista credendosi un incrocio tra Beyoncé e Jennifer Lopez. Lei non si è accorta di me, le giro alle spalle per studiarne anche l’altro profilo: è veramente bellissima. Sento gli occhi delle sue amiche addosso, le staranno sicuramente comunicando qualcosa a distanza, allora prima che inizi a cercarmi col suo sguardo sono già seduto vicino a lei. Mi guarda con un sorriso incuriosito e dolcissimo e io le indico il cielo: “Hai visto che luna?”
“Ma vaffanculo, coglione!”